Le 13 août 2010, le Festival « Tra le rocce e il cielo » (Vallarsa) a publié sur son site une lettre d’Almo Giambisi qui figurait parmi les invités d’honneur de la journée commémorative en l’honneur de Claudio Barbier. Ne pouvant y participer à cause de ses obligations de gardiennage au refuge Antermoia (il est le gardien gestionnaire de ce refuge depuis 1990, et ne cèdera le témoin à son successeur qu’en juin 2017), Almo Giambisi a écrit à la main, sur huit feuilles de papier, ce témoignage d’estime et d’affection à Claudio, l’ami de toute une vie.
Ce message sera lu par Filippo Zolezzi dans l’après-midi du samedi 21 août.
Riceviamo tramite Filippo Zolezzi, e volentieri pubblichiamo, un contributo di Almo Giambisi sul suo carissimo amico Claudio Barbier. Almo Giambisi avrebbe dovuto essere uno degli ospiti d’onore della giornata di commemorazione di Claudio Barbier; ma il suo lavoro di gestore del rifugio sul Pordoi gli ha impedito di partecipare. Questo messaggio, vergato a mano su otto foglietti di carta a righe, è il suo contributo di stima e di affetto all’amico di tutta una vita, e
verrà letto da Filippo durante il pomeriggio di sabato 21 agosto.
Mi dispiace molto non essere presente alla manifestazione ed in particolare al ricordo di Claudio Barbier.
Ma gli impegni che ho con il rifugio non mi permettono di essere fra voi.
A Claudio mi legava una grande amicizia, durata una quindicina di anni: l’avevo incontrato prima di stabilirmi al Passo Pordoi, all’albergo col di Lana, al Rifugio Vaiolet credo nel 1965.
Nel 1967 aveva passato quasi tutta l’estate al Vaiolet e fece diverse vie, alcune nuove, alcune insieme a me.
All’inizio il rapporto non fu facile: aveva un carattere difficile e alternava momenti di grande euforia a momenti di tristezza. Me lo ricordo seduto a un tavolo del bar al Col di Lana con la testa fra le mani a fissare per lungo tempo la montagna attraverso la finestra.
Feci una grossa litigata al ritorno al Vaiolet dopo essere stati in Val Canali, per il brutto tempo non eravamo riusciti ad aprire una via nuova.
Me ne attribuì la colpa per non essere andati prima con il bel tempo; io avevo impegni di lavoro al rifugio, lui aveva tutta l’estate libera.
Ci fu una baruffa al limite delle mani. Poi da quella litigata ci fu un grande accordo.
Forse io ero l’unico tra i suoi amici con cui si confidava, che poteva parlare di tutto, anche dei suoi problemi personali molto delicati. E spesso evitai scontri con alpinisti che non conoscendolo, data la sua fama nell’ambiente, gli facevano delle domande che lui riteneva inopportune.
Di aneddoti da raccontare ce ne sono molti, a volte molto divertenti. Avrei dovuto scrivere più spesso, cosa a me non congeniale.
A volte, quando non andava ad arrampicare scendeva con me a Canazei e ritornando al Passo Pordoi mi capitò di doverlo accompagnare a Peian de Schiavaneis perchè gli dava fastidio l’odore dei sedili della macchina e preferiva salire la Fedele o la Dibona alla Ovest del sass Pordoi, per arrivare all’albergo. E a volte capitò che arrivasse prima lui di me, per alcune soste che facevo da amici prima di arrivare all’albergo.
Il libro che oramai mi accompagna da 40 anni prima al Col di Lana, poi al Rifugio Antermoia fu una sua idea, ritornando da Trento, mentre si pranzava assieme all’albergo mi mise un pacchetto sul tavolo e mi disse Almo questo è un regalo per te.
E così mi trovai tra le mani un diario nuovo, la copertina marrone, bordata in oro, con carta assorbente all’interno.
L’origine di Claudio era di una famiglia borghese, lo si notava in tanti suoi modi di agire e comportamenti.
Al Col di Lana, anche per la presenza di Claudio, cominciarono ad arrivare molti alpinisti provenienti da varie parti d’Italia, molti tedeschi, da Monaco, austriaci e altri. e così cominciai a far firmare il libro a vari alpinisti che venivano al Pordoi. Logicamente lo feci iniziare a Claudio, lui parlava e scriveva diverse lingue, italiano, tedesco, inglese e naturalmente francese.
A volte fu lui stesso che andava a prenderlo in ufficio per farlo firmare, come a Leo Schloner che io non conoscevo. Al Vajolet gli feci conoscere Renato Reali, morto poi a soli 20 anni in solitaria alla Bonatti al Grand Capucin, con lui fece alcune salite, ne restò affascinato. Al Pordoi lo feci incontrare con Giancarlo Milan giovanissimo, fecero diverse salite insieme. Al Pordoi conobbe diversi miei amici con i quali arrampicavo: Alberto Dorigatti, Aldo Leviti.
Con Alberto fece diverse salite, riuscì a capire il personaggio e notavo che fra loro c’era molto affiatamento, al Pordoi incontrò Tone Valeruz non ancora alpinista ma sciatore estremo.
Claudio dal Pordoi si spostava spesso, non aveva ancora la AMI 8, per lui la macchina più adatta per un alpinista girovago che portava tutto con sè.
Prima si spostava con mezzi pubblici, la maggior parte dell’attrezzatura era da me; alcune cose le aveva da Ceci Polazzon, ad Alleghe, altre ancora da Toni Camerano a Vigo di Fassa.
Ma dopo l’acquisto della famosa AMI 8 aveva quasi tutto sulla macchina, il suo recapito era il Col di Lana al Pordoi, perciò tutta la sua corrispondenza arrivava a me. Scriveva spesso anche per raccontarmi delle sue salite, gli incontri con alpinisti, però lui preferiva le dolomiti. Ma ogni tanto passava dei periodi nelle Alpi Occidentali, aveva stretto amicizia con Lionel Terray per il quale aveva una venerazione.
Di lui ho molte lettere, cartoline, raramente gli scrivevo (come no, sono allergico alla scrittura). Mi telefonava spesso domandandomi molte cose, e specialmente del tempo, e poi se ero libero per arrampicare.
Con un mio amico di Firenze, per anni assiduo frequentatore del Col di Lana, con una grande passione per la montagna, andò sui Torrioni del Pordoi a fare una via nuova non troppo impegnativa. Penso sia stata una delle più belle giornate della sua vita, la chiamarono Via Fiaschi e nella relazione che scrisse disegnò un fiasco di vino. Il cognome del mio amico era Fiaschi Leopoldo, alla sera ci fu veramente una bella festa con fiaschi di vino Chianti!
Claudio era un buongustaio, apprezzava la buona cucina e mangiando amava bere un buon bicchiere di vino, possibilmente tappo sughero.
Un altro incontro importante per Claudio è stato quello con Heini Holzer, lo accompagnai a Merano, io Heini lo conoscevo da molto tempo, essendo meranese, lo andammo a trovare, successivamente, alla morte di Claudio andammo insieme a Bruxelles alla cerimonia funebre. Oltre a Heini, c’erano Alberto Dorigatti, Marino Stenico, e Annetta Stenico. Anche per Heini Claudio aveva una grande stima, si stupiva per la sua solitaria ai camini Rizzi alla Torre Innerkofler al Sassolungo, come è noto Heini era molto piccolo.
In un viaggio che feci con la mia ex moglie e nipote di Tita Piaz a Bruxelles, andammo a trovare Claudio. Mariangela aveva scritto in precedenza a Re Leopoldo del Belgio, che aveva arrampicato con Piaz. Ricevemmo l’invito per incontrarlo nel suo castello di Argenteil.
Claudio ci accompagnò per farci da interprete ed il Re stesso voleva conoscerlo, aveva sentito parlare delle sue imprese in Dolomiti. Durante l’incontro, che durò un pomeriggio, ci fece vedere foto e diapositive delle salite sue e del padre Re Alberto che come noto morì in palestra a Mache Le Dam in Belgio.
In quell’occasione Claudio perse l’opportunità di accompagnarlo in uno dei suoi viaggi, il re ci disse che viaggiava spesso con Heinrich Harrer.
Negli anni successivi domandai più volte se era andato a trovare il re, ma la risposta era sempre negativa. Peccato: forse la sua vita avrebbe avuto un’altra svolta.
Una mia opinione: Claudio è da considerarsi uno dei più grandi arrampicatori solitari in assoluto. Oggi vengono realizzati degli exploit che hanno dell’incredibile, però bisogna tener conto l’evoluzione dell’attrezzatura e la preparazione specifica dell’arrampicata.
io penso che le solitarie di Claudio rapportate nel tempo non siano di valore inferiore alle attuali.
Almo Giambisi