Article publié le 4 février 2011 sur le site « Alpinismo fiorentino », Rivista del Club Alpino Italiano Sezione di Firenze.
Rifugio Locatelli, 24 agosto 1961. Mattina presto, i meteo del tempo ci dicono che faceva caldo, l’ideale per arrampicare. Alle quattro e mezzo del mattino, un giovanotto di 23 anni, in blue jeans, si incammina alla base della Ovest di Lavaredo. Si chiama Claude Barbier e non sa, nemmeno immagina forse, che 13 ore dopo sarebbe diventato culto dell’alpinismo dolomitico. Poche settimane prima, il 28 luglio, ha realizzato la prima solitaria alla Andrich-Fae in Civetta, e pochi giorni prima, il giorno dopo ferragosto, ha aperto una nuova via, la Direttissima alla Cima d’Ambiez in compagnia di Toni Masè.
Ma oggi … nella sua testa solo la rabbia, forse, di essere arrivato tardi. Un nuovo itinerario sulla Grande, questo aveva pensato, ma qualcuno l’ha preceduto, capitava spesso al tempo. Camminando verso la nord ha in testa un solo obiettivo: la Cassin alla nord della Ovest, magari anche la Comici alla nord della Grande, poi chissà … Un’avventura mozzafiato, temeraria. Due vie che ha già realizzato in solitaria nel settembre del 1959, ma questa volta è diverso (per la Cassin alla ovest, quella di Barbier, è considerata la prima solitaria anche se alcune fonti la accreditano, pur con il beneficio del dubbio, ad Hans Frisch nell’estate del 1955). Per la gente è un visionario, uno che si ammazzerà cadendo da qualche parete. Ma questa mattina sente l’aria propizia, avverte la consapevolezza nei propri mezzi, la sensazione di poter sfidare le proprie paure, alzare l’asticella. D’altronde … questo pensano gli alpinisti.
Alle 5 e 10 del mattino posa il piede sull’attacco della Cassin, parte per la sua avventura. A sera, seduto ad un tavolo del Locatelli scriverà su un foglietto con mano sicura, la stessa che lo ha assistito per tutta la giornata: Cassin 3 ore (forse qualche minuto meno), Comici 3 ore, Preuss alla Piccolissima 1 ora e 10, Dulfer alla Punta Frida 1 ora, Innerkofler alla Cima Piccola 30 minuti. Tutte le nord di Lavaredo in giornata! Roba da fantascienza … otto ore e 40 in tutto per 1.750 metri di dislivello in salita, complessivamente 13 ore e 5 minuti per 3.500 metri di dislivello. In solitaria naturalmente, “solo”. Non sa, forse nemmeno immagina, come dicevo, che oggi 24 agosto 1961 è divenuto un mito e che niente potrà mettere in discussione quello che è ritenuto il primo, il più grande concatenamento dell’alpinismo dolomitico. E tale rimarrà.
Pochi giorni dopo, il 1 di settembre, realizzerà la prima ripetizione solitaria alla parete nord ovest della Torre di Valgrande (la Carlesso-Menti per intenderci) e tre giorni dopo, 4 e 5 settembre, la prima ripetizione della Philipp-Flamm alla nord ovest del Civetta. Chissà cosa prova il giovane Barbier nel farne la prima ripetizione con Ernst Steger. Nel settembre del 1957 Claudio ha solo 19 anni, Philipp non è molto più vecchio, ne ha 20. Con loro anche Diether Marchart, compagno di corda di Philipp, tutti accampati sotto la parete nord ovest del Civetta (mica c’era il Rifugio Tissi, inaugurato nel 1963). La storia dell’alpinismo è talvolta curiosa, su quella linea ci avevano già messo gli occhi sia il “Marsigliese” (George Livanos) che Armando Aste, alla fine quella che avrebbe dovuto essere una Philipp-Barbier-Marchart (azzardo … il “Diedro Barbier”) diverrà la prestigiosa Philipp-Flamm. E’ quest’ultimo, anch’egli ventenne, a “bussare”, solo la sera prima, alla porta delle loro tende. Si uniranno, la mattina dopo, per realizzare una delle più prestigiose realizzazioni, una delle vie di più rara bellezza delle Dolomiti. Sarà la sbadataggine e la mancanza di allenamento di Flamm la causa della rinuncia di Marchart e Barbier. Non colga alla sprovvista il nome Marchart, Diether è alpinista di razza, anche se poco conosciuto, uno dalle numerose salite “solitarie” del periodo. Salì, fra l’altro, la data è il 14 settembre 1958, la parete nord della Punta Frida, in solitaria naturalmente, uscendo direttamente in vetta. Sul Dumler, un classico della letteratura di alpinismo, si legge: “Abbandona la via Dulfer dove questa piega in giù e sale tenendosi a sinistra, e dirigendosi verso una fessura della parete est”. Morirà il 27 agosto 1962 nel tentativo di realizzare la prima solitaria della classica Heckmair, alla nord dell’Eiger, precipitando fra il primo ed il secondo nevaio. Ma, come si dice spesso, questa è un’altra storia … andiamo avanti.
Claude, Claudio come a lui piaceva essere chiamato, era nato in Belgio, non lontano da Bruxelles, il 7 gennaio del 1938. La passione per la montagna, per l’alpinismo, nasce subito, quando è ancora adolescente. Claudio … uno dei più grandi del dopoguerra. A lui il merito di aver trasformato un certo modo di fare alpinismo, il merito di averlo trasportato in una dimensione molto meno vincolante anche se sperimentale, imperfetta – come qualcuno ha scritto – ma largamente in anticipo sui tempi; dall’alpinismo eroico all’arrampicata libera, sportiva, benchè siano in molti ad autoriconoscersi meriti che non hanno. Qualcosa di simile, più o meno negli stessi anni, stava avvenendo in California ed anche in questo caso con largo anticipo sui tempi. Gente … che era vent’anni avanti. Barbier risulterà uno dei più grandi alpinisti solitari della storia dell’alpinismo ma nel suo curriculum anche tante vie nuove aperte con compagni diversi e fra questi anche Reinhold Messner. I due, nonostante la differenza d’età, si conoscono bene, le polemiche sorte per il celebre articolo scritto nel 1967 da Messner, sul “Bergsteiger”, nel quale si scaglia contro lo svilimento a cui viene sottoposta la montagna a causa del grande dispendio di mezzi artificiali, non incrina i loro rapporti nonostante Messner citi la via di Barbier alla Cima d’Ambiez come esempio negativo da evitare. Barbier è d’accordo con lui, difende le medesime idee.
Nel 1968, ecco perchè il titolo di questi miei appunti di alpinismo, Messner scrive sulla rivista “Alpinismus” un articolo dal titolo “Direttissima oder Mord am unmoglichen”. E’ un grido d’allarme, un invito a non avvelenare il “Drago”, a conservare un certo tipo di etica in alpinismo, a non seppellire l’impossibile. “Der Drache ist vergiftet […] meine Sorge ist der tote Drache […] Es muss etwas geschehen ehe das Unmogliche begraben is …” (Il Drago è avvelenato … la mia preoccupazione è nel Drago morto … deve succedere qualcosa prima che l’impossibile sia sepolto …). Claudio Barbier raccoglie il significato simbolico, mitico se vogliamo, lanciato da Messner. Come dicevo si conoscono bene, insieme hanno anche aperto una nuova via al Ciavazes, “Albina”, il 10 settembre del 1968. Il 26 settembre 1969, sono passati 40 anni, Barbier apre una via al Lagazuoi Nord che chiamerà “la via del Drago” in risposta all’allarme lanciato da Messner. Compagni di Claudio sono Carlo Platter ed una vecchia conoscenza di molti Istruttori della Scuola di Alpinismo Tita Piaz: Almo Giambisi ex marito di Mariangela Piaz.
Claudio Barbier è morto a Freyr, una palestra di roccia. Anna Lauwaert, che è stata la sua compagna, così descrive quel giorno “Il raggio della lampadina fece brillare l’acciaio della scala da speleo che usavamo per pulire le vie nuove […] seguii la lunga scala …Claudio era lì. Mi aspettava, sdraiato sulla schiena […] le due braccia piegate davanti a se, come per arrampicare […] sotto la sua schiena il morbido terriccio era ancora tiepido […] Mi sedetti al suo fianco”.
Con prosaica banalità, come spesso accade ai grandi, moriva uno dei più formidabili alpinisti del secolo scorso. Forse antipatico, indisponente a molti soprattutto per le sue precisioni maniacali … ma anche un irritante innovatore dal talento smisurato. Se vi capita leggete “La via del Drago” di Anna Lauwaert, ne è uscita una nuova edizione proprio di recente; è un bel libro che racconta la vita alpinistica di Claudio ma anche il racconto di una donna profondamente innamorata di un uomo del quale “avevo saputo fin dall’inizio quale sarebbe stato il destino”.